ANTICORPI

ANTICORPI

Martina Fontana | Maurizio Melis Roman | Paolo Lorenzo Parisi | Maya Zignone

Inaugurazione 8 ottobre 2020 ore 18,00 – 24,00  nell’ambito di START | notte bianca dell’arte 

Quando nel nostro organismo si verifica un attacco virale, il sistema immunitario genera una risposta immediata, scatenando una reazione difensiva contro quegli agenti invasivi riconosciuti come estranei. Gli anticorpi hanno la funzione di legare le sostanze potenzialmente dannose, contribuendo alla loro neutralizzazione. La forza di legame consente di tenere aggregate le parti coinvolte nella difesa immunitaria, attivando la cooperazione cellulare per coordinare simultaneamente più input e risposte.

Uno dei compiti più importanti è affidato ad una serie di cellule, dette cellule di memoria che successivamente al riconoscimento e alla resistenza, immagazzinano l’informazione in una sorta di data base che servirà per salvaguardarsi in futuro. 

In questo tempo così strano e sospeso abbiamo sperimentato come la coesione nei comportamenti e nelle strategie di difesa abbia contribuito ad indebolire l’attacco di un virus micidiale come il Covid-19. Ci stiamo comportando come le cellule cooperanti che lavorano nel nostro sistema immunitario. Il senso di unione e collaborazione che recepiamo dallo studio del nostro infinitamente piccolo, è un valore che emerge come urgenza anche nel mondo dell’arte e spinge ad una condivisione degli intenti e degli obiettivi.

La collettiva che Lazzaro propone vuole essere una riflessione aperta sullo stato dell’arte, chiedendo allo spettatore di sentire e interpretare la ricerca degli artisti coinvolti come una prospettiva sul nostro presente.

Ciascuno di loro attraverso il proprio linguaggio e la propria poetica, stabilisce una narrazione della realtà che viviamo, in virtù della visione oltre le cose che sono capaci di possedere e della riflessione che sono capaci di generare. Le opere in mostra non sono tutte realizzate in questo tempo-Covid, soltanto alcune, poche, ma di tutte è l’attualità: compito dell’artista è proprio percepire e suggerire mantenendo una connessione attiva con la storia, spesso anticipando quello che sarà.

Nella due sale al piano terra: Maurizio Melis Roman descrive mondi o cellule, in cui il legame, la sutura, l’aggregazione mettono in dialogo memoria e visione. Paolo Lorenzo Parisi utilizza dal 2004 i guanti di lattice come prodotto del contemporaneo che diventa metafora di un asettico sopruso su corpi inermi. Le sue istallazioni ci interrogano su protezione/difesa/controllo. 

Sulle scale e nelle cisterne: Maya Zignone, da sempre denuncia una solitudine sociale che attraversa i nostri corpi come grafici statistici, diagrammi a fini consumistici o elettorali. L’installazione site specific dal titolo “Pro-Memoria” ci illumina su quanto la violenza dell’informazione abbia avuto un impatto forse più aggressivo del virus stesso.

Nel soppalco e nelle cisterne: Martina Fontana descrive il senso di sospensione che appartiene al nostro tempo attraverso assemblaggi di materia organica ed inorganica, mostrando fragilità e contaminazione con grazia compositiva e la potenza di un urlo. “Cicatrici” indaga le nostre reazioni difensive in profonda connessione con il mondo naturale.

                                                                                                                                   Maria Laura Bonifazi

Il dialogo con lo spettatore continua anche sui social. È possibile condividere la propria visione su Facebook e Instagram taggando @lazzarogallery e #lazzarogallery

Martina Fontana, Siamo rimasti sospesi a trattenere il respiro, 2020

MARTINA FONTANA | Prato 1984

Consegue il diploma all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze in Restauro e Conservazione di Oreficerie e Metalli. Porta avanti da sempre la propria ricerca pittorica e scultorea, spaziando tra tecniche e materiali sperimentati nel campo del restauro, dell’architettura, del teatro. 

Esplorando le possibilità di convivenza tra elementi organici e artificiali, Martina Fontana si muove in un ambito di ricerca in cui i materiali reperiti per caso o realizzati ad hoc, rimandano a scenari corporei e terrestri in cui la natura viene sopraffatta dall’artificio. La materia inerme diventa ‘materia viva’ e racchiude in sè infinite potenziali metamorfosi. Esce dalla superficie irrompendo con la sua tridimensionalità e suggerendo assonanze con forme cellulari in via di sviluppo o geografie primordiali, e generando sospensione e inderterminatezza. 

Equilibri apparenti, forme indefinite evocative di morfologie verosimili, quiete e tensione. 

Elemento ricorrente nel suo lavoro, le radici diventano un archetipo di appartenenza e origine, veicolo di nutrimento e vita. Cannule e lacci emostatici sgorgano da una terra viva la cui cura è nelle mani dell’uomo.

Maurizio Melis Roman, Anticorpi, 2020

MAURIZIO MELIS ROMAN | Santiago del Cile 1957

Figlio d’arte, Melis inizia la sua formazione artistica in Cile con il padre Amerigo. Trasferitosi in Italia nel 1975, approfondisce gli studi di pittura con Renata Soro e comincia ad esporre i suoi lavori. Nella sua produzione artistica, sin dagli esordi, possiamo riconoscere un’appropriazione del segno arcaico, come mezzo per l’avvicinamento a mondi primordiali e la loro evocazione.

L’opera di Maurizio Melis è tutta nella precisione con cui sono studiati i dettagli: attraverso l’utilizzo di tecniche miste, dal collage alla sutura, dall’assemblaggio di elementi naturali all’uso dell’ocra della terra, l’artista dà vita ad universi cellulari o mundos, intaccati, ricuciti e guariti. Nuance delicate e naturali, l’uso del bianco come una cura silenziosa, donano un fare elegante, raffinato, poetico ad un lavoro che si serve del recupero di antiche carte per costruire nuove geografie. Con mezzi semplici ed essenziali esprime i simboli che affiorano nell’inconscio, attraverso uno scavo interiore che raggiunge lo spettatore nell’intimo. Un sincretismo artistico, capace di raccogliere metaforicamente nella sua forma le macerie e la distruzione della storia e di trasformarle in un genuino canto di pace e bellezza.

Paolo Lorenzo Parisi, opera appartenente alla serie Oro blu – La guerra santa, 2009

PAOLO LORENZO PARISI  | Genova 1956

Inizia da autodidatta, frequentando negli anni ’90 i punti di ritrovo degli artisti genovesi: sarà determinante per la sua crescita artistica l’incontro con Milena Milani che lo introduce nel circuito delle gallerie. Importante è senza dubbio l’esperienza con Rosa Leonardi e con Bruna Solinas e le numerose partecipazioni alla Galleria Studio 44. Suoi lavori sono stati battuti all’asta e sono presenti in collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.

La necessità di espressione di Parisi prende spazio nel campo della pittura e dell’arte concettuale, attraverso l’uso del ready made, dell’assemblaggio, della manipolazione digitale, con un intento fortemente critico e spesso di denuncia. Attraverso una poetica ricca di ironia finalizzata alla riflessione, Parisi attrae lo spettatore sorprendendolo, inducendo uno shock con l’obiettivo di fare luce su messaggi distorti e condizionamenti quotidiani: un intento provocatorio spesso legato alle questioni dell’arte e il suo mercato, ma anche di tipo politico e religioso, contro ogni tipo di guerra e fanatismo, dominazione e consumismo. Culle, torte, orsetti, madonnine, guanti di lattice: innumerevoli sono i media di cui si serve per tenere vigile la coscienza, in una coraggiosa proposta contemporaneamente laica e spirituale.

Maya Zignone, Alone

MAYA ZIGNONE  | Genova 

Diplomata al liceo Artistico, frequenta per un periodo l’Accademia di Belle Arti, specializzandosi successivamente in ceramica a Faenza e in grafica e comunicazione visiva a Milano e Genova. 

Il perno linguistico del suo lavoro è la multimedialità, integrando la luce con suono, fotografia e video. Le sue istallazioni sono vettori energetici, grafismi fosforescenti, luminescenze cariche di tensione, si inseriscono un vuoto ambientale/esistenziale, invitando il pubblico a guardarsi intorno e dentro.

Dialogando con lo spazio, in bilico fra realtà e invenzione, fra architettura e idea, teatro e vita, Maya Zignone costruisce con lo spettatore un legame esperienziale. La sua pratica si nutre di un’indagine sulla società e dell’osservazione delle sue contraddizioni e nevrosi. La sua ricerca e i suoi progetti non prescindono mai da un atteggiamento critico che però si serve di linguaggi emotivi per stimolare e risvegliare l’attenzione di chi guarda. Il lavoro sulle trasparenze, sulla levità e la fragilità del vetro, come contenitore prezioso di una luce artificiale, ci illumina sulle nostre personali criticità e sulle nostre solitudini.