Bruna Marenzana
T E M P O / C O R P O
S P A Z I O / C O R P O
importante la sua pittura. Anche nelle opere di Marenzana si coglie una tramatura pittorica “sostanzialmente bidimensionale” ed un vissuto che si vorrebbe, psicologicamente, dire e non dire. (2004)
Sono immagini che rappresentano lo sgomento dell’uomo, l’usura a cui è sottoposto, il suo smarrimento, la sua “perdita di coscienza”, ma anche la sua “ostinazione presuntuosa” a vivere, la sua volontà di “tener testa” alla banalità quotidiana. Precisiamo quindi quale sia la dimensione umana in cui opera Bruna, dove la nozione di familiare e domestico, approfondendosi, è costretta a cedere il passo a quella di anonimo. “Anonimo” definisce la condizione dell’individuo nella folla e nel tessuto delle nostre città, uno strato denso dove si è immersi e si scorre fino a trovarsi quasi nell’impossibilità di avere un’esatta percezione del reale.
libertà al serbatoio della storia e della psiche umana, definendo i termini di una visione individuale che si configura come contrapposizione ossessiva a volte, ossessionante altre, tra l’io e l’ambiente, l’altro da sé che viene incontro al soggetto e si presenta come un insieme variabile di ombre che riemergono dal mondo sopito dell’inconscio e del sogno: elementi del paesaggio urbano contemporaneo creano quinte e sipari, oppure oggetti del quotidiano carichi di senso, giocattoli dell’infanzia diventano la tappezzeria che fa da sfondo ad un’ “ostensione” di parti del corpo.
Tutta proiettata verso la realtà, non c’è più spazio per l’interiorità? Riflette questo dubbio la pittura scarna, essenziale, atemporale di Bruna Marenzana, artista di Tortona, protagonista di ESTERNI, personale fino al 6 gennaio allestita alla Galleria Jelmoni. Marenzana riprende la figurazione lontano, però, da qualsiasi archetipo, sempre riferendosi ad ambienti periferici pervasi da metafisica solitudine. I suoi personaggi trascorrono vite forse anonime, muovendosi in contesti quotidiani ordinari perciò tanto più
assillanti. I suoi giovani sembrano comparse quasi costrette a recitare una loro parte, riempire o colorare un vuoto in gran parte dei casi contemporaneo, metropolitano. Non appiattisce l’interiorità ma più che altro si constata la difficoltà ad esprimere qualcosa, forse un’impassibilità alla lunga pericolosa e che obbliga all’inerzia mentale, a rifiutare o sospendere i giudizi. “Mi attrae il paesaggio scevro di effetti speciali – scrive Marenzana – ma che può contenere una forza evocativa sottile, non comune. Corpi e volti sono lì che
guardano, passano e si fermano come immersi nei loro pensieri, vivono di gesti impercettibili”. Si avverte l’eco profondo e il desiderio di prolungare l’eredità di “Nuova figurazione” e “Nouvelle figuration” ben oltre l’ambito esistenziale e realista. Ma allontanandosi anche dalla Pop Art perchè troppo funzionale all’ideologia capitalistica assecondando così sempre più la “New image painting”. (2012)
balcone […] Nella sua opera non c’è prospettiva e i soggetti si compongono di pochi elementi. Non ci sono ombre o chiaroscuri. I colori sono essenziali, costruiscono spazi di toni piatti, monocromie che riescono ad alludere a un “oltre” per l’impressione che lasciano di espansione continua. Affascina il silenzio che spira all’interno della composizione e smuove remoti interrogativi, mentre gli istanti si susseguono. Non trascurate i dettagli, sembra suggerire Bruna. Sono loro, una volta colti, a depositarsi contribuendo a delineare la nostra identità ”. (2013)
PAUSE ||
Maurizio BARBIERI | Bruna MARENZANA
A cura di Andrea Daffra e Maria Laura Bonifazi
Mettere in pausa il tempo, osservarlo e dipingerlo. Gli artisti Maurizio Barbieri (Genova, 1952) e Bruna Marenzana (Tortona, 1964) ne hanno fatto la guida della propria ricerca, proponendo tele con intriganti e ricercati spaccati della realtà urbana e periferica: scorci che evocano racconti contemporanei di margini e angoli del palcoscenico in cui si compie la vita umana, dalle atmosfere sospese e rarefatte in cui talvolta mancano riferimenti topografici precisi.
Il mondo reale, ovvero l’ambiente tradizionale in cui viviamo – immagine della nostra cultura e della nostra società – è ispirazione per una riproduzione apparentemente fedele, che non intende far parlare ciò che è ritratto nella loro nuda essenzialità: c’è infatti una tendenza a descrivere il quotidiano fluire del tempo e dell’esistenza, con il recupero del dimenticato, dello spazio “di passaggio”, degli scorci soggetti a un quotidiano oblio nel momento in cui la frenesia della vita contemporanea li abbandona per migrare altrove. Presenze (talvolta evidenti, talora percepite) e architetture instaurano una relazione dove lo spazio visibile assume la fattezza di una “entità”, di un palco in cui tutto sembra poter succedere. In Barbieri e Marenzana la realtà si copre di un velo di lontananza temporale, come fossero scene archiviate in un passato distante e oggi recuperate tra la polvere di uno scaffale, che ci presenta, invece, immagini con cui interagiamo quasi quotidianamente.
Il lavoro finito permette di poter vivere l’attimo messo in pausa, con una costruzione tra le righe che intende incoraggiarne la lettura: tra i compiti dei dipinti, infatti, vi è quello di far sì che l’immobilità della pittura porti lo spettatore a fantasticare sui dettagli, immaginandone le trame o i soggetti che potrebbero manifestarsi in essa. “Solo i quadri – scrive Barbieri – hanno vero diritto di parola e con la voce di chi, guardandoli, li vede”. Nei luoghi di entrambi – fontane e specchi d’acqua, giardini, grandi magazzini, distributori, parcheggi, piazzali, porticcioli – nella percezione di questi luoghi, si cela l’atto di “elaborazione e traduzione in un linguaggio”, come scrive Marenzana. Se nella percezione e nella poetica dello sguardo è innegabile una convergenza, inevitabili divergenze rafforzano il dialogo tra i due autori.
Divergenze nel medium adoperato, ossia lo smalto in Barbieri, che per la sua compattezza evidenzia i rapporti tra colori, segno grafico e spazio, e l’olio in Marenzana, che restituisce l’atmosfera di una narrazione rallentata dai colori saturi e con “una tramatura pittorica sostanzialmente bidimensionale”.
Divergenze nei soggetti dipinti che, sebbene derivati da elementi urbani e periferici condivisi come palazzi, stazioni ferroviarie e di servizio, piazze, interni e non-luoghi, mostrano nella personale rappresentazione una diversa concezione di fondo sul tema dello spazio: luogo di espressione della dimensione dei corpi in Marenzana e dimensione in cui il corpo è apparentemente assente – c’era e forse ci sarà – in Barbieri. Mentre nelle opere di Marenzana i protagonisti di questo spazio sono figure “vere” reinterpretate, rese anonime e svuotate di contaminazioni o fraintendimenti, ma ancora vagamente riconoscibili, in Barbieri il protagonista dell’atmosfera è l’assenza, l’attimo messo in pausa, il racconto di quell’istante tra il prima e il dopo, nel momento in cui chi vive il luogo si distrae. L’artista, che si intrufola nel momento in cui il tempo si deconcentra, descrive i luoghi che cambiano tra le luci e le ombre dello scorrere del tempo, e che, anche se resteranno apparentemente immutati, saranno comunque diversi, perché privati dell’attimo in cui sono stati ritratti. La costruzione di uno spazio non abitato, o meglio ancora appena disabitato, fatto per essere vissuto, disturbato o percorso ci interroga sulla vera natura del luogo.
Marenzana dal canto suo riesce a cristallizzare l’istante temporale di quel paesaggio urbano estraneo alle dinamiche dello sviluppo o alle seduzioni ordinarie, come ricorda lei stessa: lo fa per permettere a quest’ultimo di esprimere la propria interseca e raffinata forza evocativa, nascosta negli angoli visibili solo con la coda dell’occhio come quando, costretti a rallentare il passo, ci soffermiamo su angoli che non abbiamo mai considerato. Ad una comune ricerca di realtà, si contrappone un’altrettanta condivisa condizione di irrealtà, ad una volontà di imitazione, un qualcosa di artificiale. Il risultato finale dei quadri, finestre aperte sul mondo, è un’arte senza tempo, presentata sotto la luce della sensazione del già avvenuto.
In questa pittura dal taglio cinematografico in cui lo spazio oltre la tela – quello non visto – sembra infinito assistiamo alla realtà come su uno schermo capace di fermare il tempo e metterlo in pausa.
Schiacciare il tasto pause per interrompere la riproduzione è un gesto a cui siamo abituati, per riprendere quando desideriamo – o possiamo – la visione. Il tempo recente ha cambiato il nostro rapporto con la sospensione impedendoci le nostre azioni più elementari limitandoci comportamenti e libertà di movimento. I lavori in mostra sono per la maggior parte antecedenti, ma si riferiscono ad un tempo dell’attesa che ha a che fare con le stesse emozioni e sensazioni, proiettandoci dentro un fermo immagine che blocca l’azione quando un evento interviene inesorabilmente. È a questo punto che il livello di osservazione degli autori si avvicina: entrambi si situano sulla soglia dell’abisso, in quella dimensione dell’esistenza in cui è possibile esplorare il limite, attraverso percorsi e passaggi diversi, per diverse direzioni. Varcare il confine per Barbieri è stato spesso spostarsi nei suoi numerosi viaggi di ricerca personale, allontanandosi per portare le cose al centro di sé. Per Marenzana è stato restare ferma, guardando il mondo dal suo centro, attraverso una ricchissima ricerca intellettuale e lo studio della filosofia. Entrambi esploratori dell’oltre, ma con due dinamiche opposte e complementari. Superare il confine è stato per entrambi sperimentare il limite estremo dell’esistenza, attraversare la perdita, l’assenza, la morte. Un’indagine in cui Bruna Marenzana si serve della tela per porsi le sue interrogazioni. Con forza centrifuga spinge i suoi soggetti alle periferie del quadro, ai bordi, fuori dal campo. Prospettive inquietanti, destabilizzanti, personaggi confinati in un angolo, geometrie estreme come esercizio di conoscenza. La giostra e l’altalena che ci riportano alle emozioni libere dell’infanzia, bloccano il loro movimento in funzione di un’analisi della struttura per comprenderla ed esplorarla. Maurizio Barbieri non è estraneo ad una ricerca ontologica, ma si muove su una direzione opposta e complementare raccontando le zone di un buio così eccessivo e dominante da essere motore rivelatore della luce, potente anche se lontana. Il suo rapporto con la luce dagli inizi alle opere più recenti delinea un percorso di maturazione della riflessione che si addolcisce in un esito cromatico gioioso e pieno nelle vedute della sua città- identità.